Una lettera firmata è giunta alla nostra testata e pone una serie di interrogativi che meritano certamente approfndimento. Nell’ottica di dar voce a quanti ne fanno richiesta, pubblichiamo un documento ricco di spunti, scritto da un cittadino di Lauria.
Egregio direttore, carissimo Mario, amico mio….. una delle mode di questi giorni, parallela all’esercizio di vaticanismo di molti è quella di valutare la possibilità di revocare le cittadinanze onorarie date a Mussolini nel 1924, in un contesto in cui centinaia di comuni italiani — spesso sotto pressione politica — concessero onorificenze simboliche al capo del governo fascista. Comprensibilmente, questa proposta nasce da un’esigenza morale e civile di prendere le distanze da quel regime, responsabile di gravi crimini contro la libertà, contro le minoranze e contro la dignità umana.
Ma proprio per rispetto della memoria — e non per revisionismo — dobbiamo chiederci: è giusto rimuovere questi atti simbolici dal registro storico o non è più corretto conservarli come testimonianza delle derive che la nostra democrazia deve evitare?
Nel 1924, anno in cui molti comuni concessero la cittadinanza onoraria a Mussolini, l’Italia era già avviata verso la dittatura. Era lo stesso anno del delitto Matteotti. Quegli atti non furono segno di stima popolare autentica, ma spesso espressione di imposizione o adesione forzata a un clima di violenza politica e intimidazione. Cancellarli oggi può apparire come una presa di posizione etica, ma in realtà rischia di depurare il passato dalle sue vergogne, offrendo una memoria addomesticata.
Se la nostra volontà è quella di educare, non dovremmo nascondere i documenti che testimoniano l’adesione formale e sostanziale delle istituzioni italiane al regime fascista. Dovremmo anzi conservarli e spiegarli. A partire, ad esempio, da quell’elenco pubblicato nel 2020 dal Ministero dell’Interno che censiva oltre 4.000 comuni che conferirono onorificenze a Mussolini. La trasparenza, non la cancellazione, è l’antidoto al ritorno dell’autoritarismo.
E se parliamo di memoria, dobbiamo avere il coraggio di applicare uno sguardo non selettivo. Nella fase della Liberazione e nel primo dopoguerra, si verificarono episodi gravi, come le fucilazioni sommarie senza processo, eseguite anche per mano di brigate partigiane. Alcune di queste furono autorizzate o accettate da figure simboliche della Repubblica, come Sandro Pertini, che in un’intervista del 1983 a Oriana Fallaci confermò di aver ordinato l’esecuzione di fascisti dopo il 25 aprile, “perché non c’era tempo per processarli”. È una testimonianza diretta, che nessuno nega, ma che raramente entra nei dibattiti ufficiali.
E ancora: le foibe, documentate nel Rapporto della Commissione mista italo-slovena del 2000, raccontano la tragica sorte di migliaia di italiani infoibati dall’esercito di Tito tra il 1943 e il 1947. Un dramma che per decenni è stato taciuto, come se la sofferenza di quegli italiani fosse “meno degna” di memoria. È stata necessaria una legge del 2004 — con il Giorno del Ricordo — per riconoscere ufficialmente quella pagina rimossa della nostra storia nazionale.
Non invochiamo la coerenza per giustificare il fascismo. Ma pretendiamola per garantire una memoria completa, onesta e civile.
Per questo, invito ciascun cittadino, prima che consiglieri…. sindaci e assessori….a valutare con attenzione: la revoca della cittadinanza onoraria non cancella Mussolini dalla storia, ma rischia di cancellare un importante elemento di autocritica collettiva. La presenza di quel nome, oggi, nel registro civico, deve rappresentare una condanna silenziosa, un monito istituzionale, una lezione permanente.
Se vogliamo davvero costruire un’Italia antifascista, allora dobbiamo ricordare tutto. Non solo ciò che ci fa onore, ma anche ciò che ci ha reso vulnerabili all’orrore.

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