Parlo come Sindaco di Latronico, ma oggi sento di parlare anche a nome di tanti colleghi amministratori e cittadini dei piccoli comuni della Basilicata che vivono una condizione ormai comune.
Il mio pensiero nasce da un fatto concreto: la notizia della prossima chiusura dell’ultima banca rimasta nel mio paese.
In questi giorni ho incontrato tante persone, e la frase che ho sentito ripetere più spesso, con una rassegnazione amara, è stata:
“Se chiude pure la banca, qui non resta più niente.”
Questo sentimento racchiude tutto: la delusione, la stanchezza, la paura che lentamente stia svanendo anche l’idea stessa di poter vivere nei nostri paesi.
Perché ogni servizio che se ne va non è solo una perdita funzionale, ma è un colpo alla dignità, un segnale che ci si aspetta che ce ne andiamo.
Eppure, noi ci vogliamo restare.
Comprendiamo bene che il mondo cambia: la transizione digitale, l’intelligenza artificiale, i nuovi modelli di lavoro e di consumo stanno rivoluzionando tutto, compresi i servizi bancari.
Ma ciò che non possiamo più accettare è che la Basilicata arrivi sempre dopo, in ritardo, vivendo ogni passaggio come emergenza, trasformando ogni cambiamento in una nuova parola ricorrente: “crisi”.
Non possiamo restare bloccati in un eterno linguaggio di perdita.
È tempo di iniziare una politica che dia una svolta vera. Di fare scelte anche difficili, ma che possano garantire un futuro a chi vuole restare nei meravigliosi paesaggi e nei centri storici della nostra Basilicata.
Ogni giorno dobbiamo difendere qualcosa: una scuola che si accorpa, un medico che va via, un ufficio che chiude.
E tutto questo accade a macchia di leopardo, rendendo difficile reagire collettivamente. Chiude oggi in un paese, tra sei mesi in un altro. E così ci si abitua alla sottrazione continua.
Ma io non voglio abituarmi. Io non ci sto.
Essere sindaco oggi significa combattere a mani nude, spesso con poche risorse e quasi mai con visioni coordinate.
Anche quando si amministra bene, la sensazione è che non basti più.
Ma non possiamo smettere di crederci. E non possiamo più essere lasciati soli.
I numeri parlano chiaro:
• La Basilicata ha perso oltre 50.000 abitanti dal 2001.
• Secondo l’ISTAT, entro il 2040 la popolazione lucana potrebbe scendere sotto i 440.000 residenti.
• Più del 95% dei comuni delle aree interne ha registrato un saldo demografico negativo nel decennio 2011–2021.
• Siamo tra le regioni italiane con il più alto tasso di decrescita.
Basta guardare questa mappa per capire l’urgenza.
Nel decennio 2011–2021, la Basilicata ha registrato uno dei cali demografici più alti d’Italia, come mostra questa immagine tratta dai dati ufficiali. Insieme al Molise, la nostra Regione è colorata di rosso scuro: il segno più evidente di un’emorragia sociale che non si è mai fermata.
Questo non è solo un dato. È una mappa del declino.
E proprio per questo, la Basilicata ha il dovere di prendere l’iniziativa, farsi promotrice di un nuovo modello di sopravvivenza per i piccoli comuni.
Non si può più aspettare.
Anche i piccoli comuni stanno facendo la loro parte: progetti, investimenti, creatività.
Ma una realtà di mille, duemila, tremila abitanti non può da sola cambiare una dinamica nazionale.
E se accade, è per un caso, un’eccezione. Non può diventare la regola. Non può diventare sistema.
La Basilicata non è solo attraversata dalla questione delle aree interne: è essa stessa la Regione delle aree interne. Qui il problema non è di alcuni territori marginali: è il problema dei problemi.
Difendere i piccoli comuni vale quanto difendere una grande fabbrica.
Quando la Fiat di Melfi entra in crisi, giustamente tutta la Regione si mobilita.
Ma se mettiamo insieme le perdite di centinaia di servizi, di migliaia di cittadini, non stiamo forse vivendo una crisi più profonda, più estesa, più sistemica?
Serve una svolta. Serve un piano. Serve una visione condivisa.
La Regione deve farsi carico di questa emergenza e aprire un tavolo permanente con il Governo nazionale, coinvolgendo i parlamentari lucani, per condividere un percorso concreto e realistico su come salvare le piccole comunità della Basilicata.
Non bastano più le analisi. Serve un patto operativo, con tempi, strumenti, risorse e obiettivi chiari.
Basta logiche tagliola. Basta norme pensate per territori completamente diversi dal nostro.
La Basilicata dà energia all’Italia, ma non può essere svuotata della propria energia sociale e umana.
E soprattutto, basta divisioni.
Questa non è una battaglia di parte, ma di civiltà.
Serve un fronte unito. Dobbiamo sederci attorno allo stesso tavolo: Regione, Comuni, sindacati, associazioni produttive, categorie professionali.
O ci difendiamo insieme, o spariremo ognuno per conto proprio.
Questa nota non vuole essere un atto d’accusa per il passato o per il presente.
Vuole essere una chiamata collettiva a guardare in faccia il problema e chiederci: cosa possiamo fare adesso?
E se anche sbaglieremo, che sia uno sbaglio fatto insieme, nel tentativo di cambiare le cose.
Perché io l’ho capito chiaramente: non c’è più un secondo da perdere.
Come Sindaco di Latronico, lancio questo grido d’allarme.
Non solo per il mio Comune, ma per tutte quelle comunità che lottano ogni giorno per continuare ad esistere.
La speranza ha bisogno di una strategia. Di coraggio. E soprattutto: di non essere lasciata sola.
E pubblico queste parole anche per un motivo personale:
questa riflessione mi è stata sollecitata proprio da Rocco Rosa, che nei giorni scorsi mi aveva stimolato ad esprimere un pensiero netto e profondo sul futuro delle aree interne.
Proprio ieri è giunta la notizia della sua scomparsa.
E oggi sento ancora più forte il bisogno di dare voce a quella sollecitazione, perché Rocco sapeva quanto fosse importante non rimanere in silenzio.
Questa nota, per me, è anche un modo per salutarlo e raccogliere il suo invito.
Fausto De Maria